steve mccurry
"Il mio nome è Ryan Kellen. Conosco Steve McCurry fin dall'infanzia. Penso che sia una persona incredibilmente perspicace. E' riuscito a fotografare tutta l'India, catturandone i colori e le sensazioni.
Tutti lo conoscono come l’uomo che ha resa famosa la “ragazza afghana”, quella splendida giovane dagli occhi di giada conosciuta in tutto il mondo grazie a una sua foto. Mi ha affidato questo diario per fare valutare a un caro amico se valesse davvero la pena di rendere note le sue foto meno famose, per comunicare un messaggio diverso. E, a mio parere, è stata un’idea meravigliosa: ora vi renderete conto delle mie ragioni."
ARCOBALENO
Festa holi. La festa del colore. Mi piace andare in India, perché è un posto pieno di sorprese. Infatti, anche nelle sue antiche tradizioni essa conserva un'aria di magia. E questa magia arriva al culmine in questo così importante evento. Mi aggiravo per le strade di Rajasthan, cercando un nuovo soggetto di cui innamorarmi, quando finalmente l’ho visto, appoggiato a un muro grigio. La polvere colorata aveva coperto tutto il suo corpo e la pelle. Sembrava un’esplosione di colori, una tela umana su cui un pittore avesse dipinto l’arcobaleno. È così che mi è venuto in mente di iniziare questo diario, una piccola raccolta di foto e pensieri, dei più bei colori dell’India e dintorni.
ROSA
Caro diario, mi trovo nel Bengala Occidentale. oggi non mi è stato difficile trovare un soggetto interessante. Ero alla stazione, ad aspettare pazientemente che mi . ho visto una donna sul treno Howrah Mail, diretto a Calcutta. Era pensierosa, affacciata al finestrino con l’aria paziente e pacata di chi vuole solo partire, ma senza alcuna fretta, come cercando di rimandare il più possibile un destino imminente. Dietro di lei vi era un bambino, suo figlio, penso. Indossava un velo rosa, proprio come la madre, forse per gioco, forse solo per coprirsi. La madre stava fissando qualcosa al di fuori del treno con tanta attenzione che anche il bambino, incuriosito, si è voltato, con un’espressione stupita, quasi incantata. Mi sono avvicinato e, pochi secondi prima che il vagone si muovesse, ho deciso di scattare la foto. Solo quando i due si sono allontanati nel nero fumo del treno ho capito che la donna e il bambino stavano guardando me fin dall’inizio, e soprattutto capii il significato di quello sguardo immobile, sconfitto. Guardavano me, capendo che loro avrebbero dovuto andarsene nell’unica direzione in cui il treno portava, mentre io, invece, sarei rimasto, o me ne sarei andato, avrei potuto scegliere che strada prendere, e anche nel mio vagare, avrei avuto qualcosa di fermo, l’immagine di due persone in rosa racchiuse nella cornice del finestrino di un treno.
ROSSO
Caro diario, qualche giorno fa ho visitato Mumbai. È un periodo difficile e abbastanza critico per la mia ispirazione, dal momento che da diversi anni viaggio in India ed evitare di essere ripetitivo nei soggetti e nello stile delle mie foto sta diventando un’impresa alquanto ardua. Mi sono stabilito in un albergo nel quartiere di Colaba, nel trambusto dei mezzi di trasporto che attraversano costantemente la città. Ho camminato per ore ininterrottamente e mi è sorto un pensiero: e se avessi smesso di andare in India? Se non fosse il posto che fa per me? Se fosse solo uno tra i tanti soggetti che, una volta immortalati e resi noti al mondo intero, e una volta donato successo alla tua carriera, vengono abbandonati e tornano nell’ombra? Mi sono guardato intorno, come perso, sconvolto dai miei stessi pensieri. Poi è successo qualcosa che mi ha fatto riflettere. Mi sono trovato davanti un piccolo venditore di rose. Stava cercando di persuadere alcune donne a comprare i suoi fiori, scarlatti come l’autobus su cui si trovavano i potenziali clienti. Le donne lo guardavano superficiali, impassibili. Io non riuscivo a vedere il viso del ragazzo, dal momento che mi dava le spalle, e tuttavia immaginavo la sua espressione implorante, che d’altronde avevo visto in tanti altri bambini nelle sue stesse misere condizioni. Allo stesso modo, immaginavo che, come gli altri bambini, anche questo non si sarebbe mai arreso pur di sopravvivere in un paese così povero e crudele. Decisi di scattargli una foto. Per immortalare quell’atto di coraggio e perseveranza. Ieri sono tornato nello stesso posto e ho comprato una rosa, di cui conservo e conserverò sempre un petalo, come una parte del mondo di quei bambini che voglio in qualche modo proteggere. Perché ho deciso che non smetterò di visitare l’India, di far sviluppare su carta le sue meravaviglie, né le sue innumerevoli problematiche, né l’innocenza e la tenerezza di quei bambini.
ARANCIONE
Caro diario, quest’anno ho deciso di spostarmi nello stato del Gujarat. Ieri sono andato nella città di Ahmedabad. Purtroppo, dato che sono fortunato, sono capitato nel periodo dei monsoni, il peggiore che mi potesse mai capitare di affrontare. Parlando seriamente, sono stato molto fortunato. Infatti una famiglia è stata così gentile da ospitarmi nella propria casa per tenermi al fresco fino a stamattina, quando il clima e la temperatura fosse stata un po’ più favorevole ai lunghi tragitti. Ovviamente, durante il mio soggiorno in quella casa di pietra non ho potuto fare a meno di fotografare un soggetto che mi è parso piuttosto curioso: c’era una ragazza, bellissima, con il suo sari e il suo velo, entrambi arancioni, che la avvolgevano, rendendola simile a un piccolo sole in quel rifugio tetro e malinconico. Se ne stava seduta contro la parete, timidamente, con una mano sulla bocca, fissandomi come impaurita. Effettivamente, avere uno sconosciuto in casa che la fissava e la fotografava non doveva essere molto allettante come situazione. Le ho sorriso per farle coraggio, per farle capire che non aveva nulla da temere. Allora la ragazza, con un attimo di esitazione, mi sorrise a sua volta. Era forse ancora più bella di prima. Anche se avrei tanto desiderato farlo, ho pensato di tenere buona quella foto e di non scattarne una che, magari, sarebbe stata ancora più bella. Non ho voluto mettere a disagio quella bellissima creatura. Inoltre, quando sono tornato all’albergo in cui mi sono stabilito ho pensato che, d’altronde, non posso certo cambiare la realtà di una giovane, non posso farla sembrare semplicemente una persona serena, con tutta una via davanti… ah, la gioventù! Deve pur contenere un mistero nascosto in un timido sguardo…
GIALLO
Caro Diario, il mio viaggio continua inesorabile attraverso i territori magnifici e orientali dell'India. Percorro strade, visito monumenti, assaggio il cibo locale, mi lascio rapire dalla bellezza dell'India e mi perdo tra i suoi mercati chiassosi e orientali che profumano di spezie. Poi, certo, faccio fotografie. Mi lascio attrarre dallo scintillio dell'acqua in un fiume, dai colori sgargianti dei vestiti delle donne, da qualche albero che si erge maestoso verso l'alto, e fotografo, fotografo, fotografo. Oggi, nel pomeriggio, ho visitato il tempio di Harmandir Sahib, meglio conosciuto da noi occidentali con il nome di "tempio d'oro", e non a caso. Il marmo bianco di cui ogni singola pietra di questo enorme e stupefacente edificio è composto, infatti, è coperto da una patina d'oro che lo rende un gioiello di estrema bellezza. Il suo riflesso dorato cade nelle acque del piccolo laghetto di fronte ad esso, e pare abbracciare i suoi fondali con la luce dorata che sembra emanata dallo stesso edificio. Guardando il tempio dorato mi sono commosso profondamente. Le fronde dell'albero di Ber Baba Budha Sahib Ji, un nome che la guida mi ha inciso nella mente a furia di pronunciarlo, mi coprivano dal sole accecante del pomeriggio e mi regalavano, assieme alla vista del tempio, un conforto e una freschezza che mi sembrano ora impossibili da descrivere. L'enorme macchina fotografica che prima pesava sul mio collo d'un tratto pareva più leggera. Avrei voluto abituarmi per sempre a quella vista, sarei voluto rimanere lì per l'eternità, fermo in una realtà che mi affascina e mi travolge ma che è così lontana da me, tanto che a volte mi riesce complicato capirla. Oggi l'India mi ha rapito. Oggi l'India mi ha lasciato qualcosa che nemmeno la fotografia che continuo a guardare può donarmi, eppure sorrido, pensando a questo viaggio, al tempio d'oro di Harmandir Sahib, così dorato e immenso sotto lo sgretolamento del tempo, sotto la guerra che troppo spesso reca danni irreparabili a monumenti e persone e che questa volta non è riuscita a distruggere completamente la bellezza dell'India. Questa giornata rimarrà per sempre nella mia memoria, scolpita a fuoco nella mia mente.
VERDE
Caro Diario, uno degli aspetti più spettacolari dell'India è quello riguardante i colori. Rosso, bianco, arancione, blu, rosa...Questo Paese continua a stupirmi con le sue tinte accese e affascinanti che rapiscono il mio sguardo ad ogni occhiata. Oggi è stato un giorno particolare e strano: da una settimana, infatti, sulle bancarelle dei mercati venivano vendute delle polveri colorate in piccoli sacchetti, e stamattina, per le strade, le persone si rincorrevano allegre, gridando e ridendo, coperte da uno strato di colore che le faceva assomigliare a degli strani esseri provenienti da un altro pianeta. Inutile dire che, dopo un primo istante di sconcerto, sono corso giù dalle scale del piccolo hotel in cui alloggio per fare alcune fotografie. Appena sono arrivato in strada mi sono fermato: mi sentivo strano, quasi fuori posto, finché un colpo alla schiena non mi ha fatto trasalire. Mi sono voltato improvvisamente e ho subito notato un bambino che guardava preoccupato la mia giacca marrone coperta da un'enorme macchia rossa. Il bambino aveva un'aria così colpevole e pentita che non potei fare altro che sorridergli: sono certo che non abbia fatto apposta a sporcarmi la giacca, e poi non ha colpito la mia enorme macchina fotografica: è questo l'importante. Dopo aver scattato qualche decina di foto alle persone in strada, sono tornato nella mia camera per fare delle foto anche dall'alto, sulla piccola terrazza. Aggrappato all'inferriata del balcone (mi ero sporto quasi fino alla cintola per cercare il soggetto perfetto), dopo cinque minuti di peripezie per fare una foto decente senza far cadere la macchina e i costosi obiettivi, il mio sguardo fu catturato da un piccolo gruppo di persone con la pelle e i vestiti colorati di rosso che passava proprio sotto la terrazza dove mi ero "appollaiato". Ma il particolare che ha colpito il mio sguardo era l'uomo completamente colorato di verde che il gruppo in rosso sorreggeva sulle spalle. Per un attimo rimasi immobile, poi afferrai la mia macchina fotografica e, facendo in modo che il turbante verde indossato dall'uomo dividesse in due metà uguali la fotografia, scattai. Credo che non dimenticherò mai quel momento, l'allegria che i colori mi donavano e l'euforia delle persone. Ritengo che ben poche persone, nell'Occidente, sappiano che esiste questa festa colorata e vivace, in cui i colori riescono a dare emozioni, a tirare fuori quasi con dolce violenza i sentimenti che tutti teniamo nel cuore. Credo che, una volta tornato da questo viaggio stupendo, camminando per le strade grigie di Philadelphia, mi mancherà quest'aria orientale di festa e mistero, quest'allegria vivace e pazza che fa tremare i muri, che riesce a far dimenticare l'inferno. Perché lì, in mezzo ad una cultura totalmente diversa dalla mia, immerso in un clima di originale mistero, io ho aspettato e ho guardato e ho cantato e ho ascoltato e ho vissuto, con la mia macchina fotografica al collo, mille pensieri per la testa, immobile in mezzo ad un turbinio di gente, finché le persone si sono dimenticate di me, della mia macchina fotografica, e la loro anima è uscita allo scoperto.
BIANCO
Caro Diario, oggi la mia guida indiana mi ha accompagnato in alcuni luoghi dell'India fortemente colpiti dalla guerra o da catastrofi naturali perché uno degli scopi principali di questo viaggio è quello di riuscire ad immortalare l'effetto che le disgrazie hanno sulle persone. Infatti, da fotografo, ritengo che sia possibile capire la vita di un uomo semplicemente guardandolo negli occhi. Durante questo viaggio non mi è mai capitato di fotografare persone i cui volti non mi raccontassero una storia, non mi svelassero un mistero, e penso che questo fatto sia importantissimo per far comprendere ai futuri osservatori delle mie fotografie ciò che accade qui, tra gli edifici colpiti dalle bombe e le piccole case polverose e cadenti della gente. Comunque, oggi, verso le cinque del pomeriggio, io e la mia guida indiana, Amal, siamo arrivati a Gujarat, un territorio fortemente sismico a nord - ovest dell'India. Amal è nato qui, tra queste strade, dunque ha insistito per mostrarmi la sua casa e la scuola che egli, avendo una famiglia piuttosto ricca, è riuscito a frequentare. Amal mi ha spiegato dettagliatamente il complesso sistema scolastico indiano e mi ha portato in una scuola per fare fotografie e per parlare con alunni e professori. Qua i bambini imparano matematica, inglese e informatica e gli studenti sono molto diligenti perché se hanno dei debiti devono aspettare un anno intero per fare l'esame! Comunque, tutti si sono mostrati molto gentili ed educati; mi hanno chiesto alcune notizie sul posto da cui provengo e hanno voluto che mostrassi loro la mia macchina fotografica. Per qualche secondo mi sono sentito un professore che parlava assieme ai suoi alunni ed ho dimenticato ogni differenza tra me e loro. Ho dunque fatto un breve giro per le classi ed ho fatto un po' di foto. Una di quelle che ho scattato lì mi piace particolarmente: essa raffigura delle ragazze vestite di bianco che tessono in una stanza in penombra illuminata in alcuni punti da gradi finestre. L'atmosfera che mi ha colpito appena ho messo piede in quella stanza era come quella che si percepisce in una chiesa: mi sentivo chiuso, al sicuro, al caldo, e la luce che entrava dolcemente dalle finestre mi faceva sentire come se fossi in un luogo lontano dal tempo e dallo spazio. Ho subito approfittato dell'emozione che quel silenzio sacro creava in me ed ho scattato una fotografia, al cui centro c'è una ragazza illuminata dalla luce e circondata dalle ombre create dalle sue compagne immerse nel buio. Se dovessi dare un titolo a questa fotografia la intitolerei "Purezza", o qualcosa di simile, perché la luce che cadeva sul pavimento, il silenzio della stanza, i vestiti bianchi delle ragazze, ogni particolare immerso in un quell'atmosfera di chiusa meditazione mi lasciavano nel cuore un sentimento tiepido che mi scaldava il petto e che calmava ogni mio affanno.Qualche secondo fa Amal, alla guida del SUV nero che sta sfrecciando veloce per le strade notturne dell'India verso una nuova meta, mi ha chiesto cosa stessi scrivendo. Gli ho detto che sto scrivendo una specie di "diario di bordo", ed egli mi ha domandato se lo farò leggere a qualcuno, una volta tornato a casa. Sono rimasto in silenzio per qualche secondo, poi gli ho risposto che non lo sapevo, che non ero nemmeno sicuro se davvero volevo tornare a casa. Amal ha sorriso. Credo che egli abbia capito, dopo pochi giorni trascorsi insieme, che l'India mi sta lentamente rapendo con i suoi colori, con le sue luci, con i suoi odori speziati e le sue strade chiassose. Mi chiedevo spesso cosa fosse la bellezza; ora lo so: è purezza.
BLU
Caro Diario, oggi ho continuato il mio viaggio attraverso l'India, e sette lunghe ore di macchina in compagnia di un cd con la musica dei Beatles che mi sono portato da casa e una coca-cola (le vendono anche qui! Non me l'aspettavo!), mi hanno condotto lungo il Gange fino a una città luminosa e colorata: Haridwar. Questa città, attraversata dal grande fiume sacro dell'India, è uno spettacolo sia di giorno, con i suoi mercati e monumenti, sia di notte, quando le luci delle case e degli enormi palazzi feriscono il buio. Secondo il mio progetto di viaggio sarei dovuto arrivare ad Haridwar alle tre del pomeriggio, per poi incontrare la guida che mi avrebbe mostrato la città un'ora dopo, ma il poco traffico nelle strade ha permesso che arrivassi prima, dunque, non riuscendomi facile aspettare da solo per quasi due ore, dopo aver lasciato i miei bagagli in hotel, ho girovagato senza meta tra le strade di Haridwar. Durante il mio percorso ho incontrato vari tipi di persone - vecchi che si sostenevano su bastoni nodosi, donne che camminavano piano con ampi vestiti coloratissimi, bambini che si rincorrevano per strada - ed ho fatto delle fotografie a tutti i soggetti che mi lasciavano una particolare emozione o creavano in me curiosità. Adesso che, disteso sullo scomodo letto dell'hotel dopo aver passato una giornata stancante vagando per musei, sto riguardando le fotografie di questo pomeriggio, la mia attenzione è stata colpita da una delle fotografie che ho scattato proprio in quei minuti di vagabondaggio. Mi ricordo di avere camminato davanti ad alcune case povere, proprio dietro ad edifici grandi e moderni, e di aver notato, di fronte a un telo grigio, una bambina con la pelle pitturata di blu che giocava assieme alla madre. Mi sono fermato immediatamente, colpito dalla pelle della bambina e dai disegni che le ornavano il corpo. Ricordo di aver pensato a quella bambina come ad una divinità induista, potente e immortale, esattamente come le statue raffiguranti Shiva, il dio terribile, Vishnu , il dio conservatore, o Brahma, il primo dio. Naturalmente la madre della bambina deve aver pensato male di me a causa della mia faccia leggermente sconvolta, ma, usando alcune parole della lingua indù che sono riuscito ad imparare durante questo lungo viaggio, sono riuscito a convincerla a lasciarmi scattare una foto. Riguardando ora quella fotografia, non posso fare a meno che riportare alla mente gli stessi pensieri avuti nel primo istante in cui vidi la bambina: il suo comportamento, la rigidità del suo corpo, i gelidi occhi gialli, la pelle blu e la mano alzata, infatti, mi fanno venire i brividi e mi attraggono con una forza mistica e parecchio inquietante. Chissà cosa dirò al mio editore, quando tornerò dal viaggio! Probabilmente esclamerò qualcosa come: "Ehi, Tom, non ci crederai mai a quello che ti sto per dire, ma ho incontrato Shiva!". "Shiva? Ma che stai dicendo?" replicherà lui, e allora gli spiegherò di tutto quello che mi è accaduto, del viaggio, del Gange che scorre tranquillo nel suo letto, di Haridwar, della bambina colorata di blu. Probabilmente non smetterò più di parlare.
di Martina e Marianna
Tutti lo conoscono come l’uomo che ha resa famosa la “ragazza afghana”, quella splendida giovane dagli occhi di giada conosciuta in tutto il mondo grazie a una sua foto. Mi ha affidato questo diario per fare valutare a un caro amico se valesse davvero la pena di rendere note le sue foto meno famose, per comunicare un messaggio diverso. E, a mio parere, è stata un’idea meravigliosa: ora vi renderete conto delle mie ragioni."
ARCOBALENO
Festa holi. La festa del colore. Mi piace andare in India, perché è un posto pieno di sorprese. Infatti, anche nelle sue antiche tradizioni essa conserva un'aria di magia. E questa magia arriva al culmine in questo così importante evento. Mi aggiravo per le strade di Rajasthan, cercando un nuovo soggetto di cui innamorarmi, quando finalmente l’ho visto, appoggiato a un muro grigio. La polvere colorata aveva coperto tutto il suo corpo e la pelle. Sembrava un’esplosione di colori, una tela umana su cui un pittore avesse dipinto l’arcobaleno. È così che mi è venuto in mente di iniziare questo diario, una piccola raccolta di foto e pensieri, dei più bei colori dell’India e dintorni.
ROSA
Caro diario, mi trovo nel Bengala Occidentale. oggi non mi è stato difficile trovare un soggetto interessante. Ero alla stazione, ad aspettare pazientemente che mi . ho visto una donna sul treno Howrah Mail, diretto a Calcutta. Era pensierosa, affacciata al finestrino con l’aria paziente e pacata di chi vuole solo partire, ma senza alcuna fretta, come cercando di rimandare il più possibile un destino imminente. Dietro di lei vi era un bambino, suo figlio, penso. Indossava un velo rosa, proprio come la madre, forse per gioco, forse solo per coprirsi. La madre stava fissando qualcosa al di fuori del treno con tanta attenzione che anche il bambino, incuriosito, si è voltato, con un’espressione stupita, quasi incantata. Mi sono avvicinato e, pochi secondi prima che il vagone si muovesse, ho deciso di scattare la foto. Solo quando i due si sono allontanati nel nero fumo del treno ho capito che la donna e il bambino stavano guardando me fin dall’inizio, e soprattutto capii il significato di quello sguardo immobile, sconfitto. Guardavano me, capendo che loro avrebbero dovuto andarsene nell’unica direzione in cui il treno portava, mentre io, invece, sarei rimasto, o me ne sarei andato, avrei potuto scegliere che strada prendere, e anche nel mio vagare, avrei avuto qualcosa di fermo, l’immagine di due persone in rosa racchiuse nella cornice del finestrino di un treno.
ROSSO
Caro diario, qualche giorno fa ho visitato Mumbai. È un periodo difficile e abbastanza critico per la mia ispirazione, dal momento che da diversi anni viaggio in India ed evitare di essere ripetitivo nei soggetti e nello stile delle mie foto sta diventando un’impresa alquanto ardua. Mi sono stabilito in un albergo nel quartiere di Colaba, nel trambusto dei mezzi di trasporto che attraversano costantemente la città. Ho camminato per ore ininterrottamente e mi è sorto un pensiero: e se avessi smesso di andare in India? Se non fosse il posto che fa per me? Se fosse solo uno tra i tanti soggetti che, una volta immortalati e resi noti al mondo intero, e una volta donato successo alla tua carriera, vengono abbandonati e tornano nell’ombra? Mi sono guardato intorno, come perso, sconvolto dai miei stessi pensieri. Poi è successo qualcosa che mi ha fatto riflettere. Mi sono trovato davanti un piccolo venditore di rose. Stava cercando di persuadere alcune donne a comprare i suoi fiori, scarlatti come l’autobus su cui si trovavano i potenziali clienti. Le donne lo guardavano superficiali, impassibili. Io non riuscivo a vedere il viso del ragazzo, dal momento che mi dava le spalle, e tuttavia immaginavo la sua espressione implorante, che d’altronde avevo visto in tanti altri bambini nelle sue stesse misere condizioni. Allo stesso modo, immaginavo che, come gli altri bambini, anche questo non si sarebbe mai arreso pur di sopravvivere in un paese così povero e crudele. Decisi di scattargli una foto. Per immortalare quell’atto di coraggio e perseveranza. Ieri sono tornato nello stesso posto e ho comprato una rosa, di cui conservo e conserverò sempre un petalo, come una parte del mondo di quei bambini che voglio in qualche modo proteggere. Perché ho deciso che non smetterò di visitare l’India, di far sviluppare su carta le sue meravaviglie, né le sue innumerevoli problematiche, né l’innocenza e la tenerezza di quei bambini.
ARANCIONE
Caro diario, quest’anno ho deciso di spostarmi nello stato del Gujarat. Ieri sono andato nella città di Ahmedabad. Purtroppo, dato che sono fortunato, sono capitato nel periodo dei monsoni, il peggiore che mi potesse mai capitare di affrontare. Parlando seriamente, sono stato molto fortunato. Infatti una famiglia è stata così gentile da ospitarmi nella propria casa per tenermi al fresco fino a stamattina, quando il clima e la temperatura fosse stata un po’ più favorevole ai lunghi tragitti. Ovviamente, durante il mio soggiorno in quella casa di pietra non ho potuto fare a meno di fotografare un soggetto che mi è parso piuttosto curioso: c’era una ragazza, bellissima, con il suo sari e il suo velo, entrambi arancioni, che la avvolgevano, rendendola simile a un piccolo sole in quel rifugio tetro e malinconico. Se ne stava seduta contro la parete, timidamente, con una mano sulla bocca, fissandomi come impaurita. Effettivamente, avere uno sconosciuto in casa che la fissava e la fotografava non doveva essere molto allettante come situazione. Le ho sorriso per farle coraggio, per farle capire che non aveva nulla da temere. Allora la ragazza, con un attimo di esitazione, mi sorrise a sua volta. Era forse ancora più bella di prima. Anche se avrei tanto desiderato farlo, ho pensato di tenere buona quella foto e di non scattarne una che, magari, sarebbe stata ancora più bella. Non ho voluto mettere a disagio quella bellissima creatura. Inoltre, quando sono tornato all’albergo in cui mi sono stabilito ho pensato che, d’altronde, non posso certo cambiare la realtà di una giovane, non posso farla sembrare semplicemente una persona serena, con tutta una via davanti… ah, la gioventù! Deve pur contenere un mistero nascosto in un timido sguardo…
GIALLO
Caro Diario, il mio viaggio continua inesorabile attraverso i territori magnifici e orientali dell'India. Percorro strade, visito monumenti, assaggio il cibo locale, mi lascio rapire dalla bellezza dell'India e mi perdo tra i suoi mercati chiassosi e orientali che profumano di spezie. Poi, certo, faccio fotografie. Mi lascio attrarre dallo scintillio dell'acqua in un fiume, dai colori sgargianti dei vestiti delle donne, da qualche albero che si erge maestoso verso l'alto, e fotografo, fotografo, fotografo. Oggi, nel pomeriggio, ho visitato il tempio di Harmandir Sahib, meglio conosciuto da noi occidentali con il nome di "tempio d'oro", e non a caso. Il marmo bianco di cui ogni singola pietra di questo enorme e stupefacente edificio è composto, infatti, è coperto da una patina d'oro che lo rende un gioiello di estrema bellezza. Il suo riflesso dorato cade nelle acque del piccolo laghetto di fronte ad esso, e pare abbracciare i suoi fondali con la luce dorata che sembra emanata dallo stesso edificio. Guardando il tempio dorato mi sono commosso profondamente. Le fronde dell'albero di Ber Baba Budha Sahib Ji, un nome che la guida mi ha inciso nella mente a furia di pronunciarlo, mi coprivano dal sole accecante del pomeriggio e mi regalavano, assieme alla vista del tempio, un conforto e una freschezza che mi sembrano ora impossibili da descrivere. L'enorme macchina fotografica che prima pesava sul mio collo d'un tratto pareva più leggera. Avrei voluto abituarmi per sempre a quella vista, sarei voluto rimanere lì per l'eternità, fermo in una realtà che mi affascina e mi travolge ma che è così lontana da me, tanto che a volte mi riesce complicato capirla. Oggi l'India mi ha rapito. Oggi l'India mi ha lasciato qualcosa che nemmeno la fotografia che continuo a guardare può donarmi, eppure sorrido, pensando a questo viaggio, al tempio d'oro di Harmandir Sahib, così dorato e immenso sotto lo sgretolamento del tempo, sotto la guerra che troppo spesso reca danni irreparabili a monumenti e persone e che questa volta non è riuscita a distruggere completamente la bellezza dell'India. Questa giornata rimarrà per sempre nella mia memoria, scolpita a fuoco nella mia mente.
VERDE
Caro Diario, uno degli aspetti più spettacolari dell'India è quello riguardante i colori. Rosso, bianco, arancione, blu, rosa...Questo Paese continua a stupirmi con le sue tinte accese e affascinanti che rapiscono il mio sguardo ad ogni occhiata. Oggi è stato un giorno particolare e strano: da una settimana, infatti, sulle bancarelle dei mercati venivano vendute delle polveri colorate in piccoli sacchetti, e stamattina, per le strade, le persone si rincorrevano allegre, gridando e ridendo, coperte da uno strato di colore che le faceva assomigliare a degli strani esseri provenienti da un altro pianeta. Inutile dire che, dopo un primo istante di sconcerto, sono corso giù dalle scale del piccolo hotel in cui alloggio per fare alcune fotografie. Appena sono arrivato in strada mi sono fermato: mi sentivo strano, quasi fuori posto, finché un colpo alla schiena non mi ha fatto trasalire. Mi sono voltato improvvisamente e ho subito notato un bambino che guardava preoccupato la mia giacca marrone coperta da un'enorme macchia rossa. Il bambino aveva un'aria così colpevole e pentita che non potei fare altro che sorridergli: sono certo che non abbia fatto apposta a sporcarmi la giacca, e poi non ha colpito la mia enorme macchina fotografica: è questo l'importante. Dopo aver scattato qualche decina di foto alle persone in strada, sono tornato nella mia camera per fare delle foto anche dall'alto, sulla piccola terrazza. Aggrappato all'inferriata del balcone (mi ero sporto quasi fino alla cintola per cercare il soggetto perfetto), dopo cinque minuti di peripezie per fare una foto decente senza far cadere la macchina e i costosi obiettivi, il mio sguardo fu catturato da un piccolo gruppo di persone con la pelle e i vestiti colorati di rosso che passava proprio sotto la terrazza dove mi ero "appollaiato". Ma il particolare che ha colpito il mio sguardo era l'uomo completamente colorato di verde che il gruppo in rosso sorreggeva sulle spalle. Per un attimo rimasi immobile, poi afferrai la mia macchina fotografica e, facendo in modo che il turbante verde indossato dall'uomo dividesse in due metà uguali la fotografia, scattai. Credo che non dimenticherò mai quel momento, l'allegria che i colori mi donavano e l'euforia delle persone. Ritengo che ben poche persone, nell'Occidente, sappiano che esiste questa festa colorata e vivace, in cui i colori riescono a dare emozioni, a tirare fuori quasi con dolce violenza i sentimenti che tutti teniamo nel cuore. Credo che, una volta tornato da questo viaggio stupendo, camminando per le strade grigie di Philadelphia, mi mancherà quest'aria orientale di festa e mistero, quest'allegria vivace e pazza che fa tremare i muri, che riesce a far dimenticare l'inferno. Perché lì, in mezzo ad una cultura totalmente diversa dalla mia, immerso in un clima di originale mistero, io ho aspettato e ho guardato e ho cantato e ho ascoltato e ho vissuto, con la mia macchina fotografica al collo, mille pensieri per la testa, immobile in mezzo ad un turbinio di gente, finché le persone si sono dimenticate di me, della mia macchina fotografica, e la loro anima è uscita allo scoperto.
BIANCO
Caro Diario, oggi la mia guida indiana mi ha accompagnato in alcuni luoghi dell'India fortemente colpiti dalla guerra o da catastrofi naturali perché uno degli scopi principali di questo viaggio è quello di riuscire ad immortalare l'effetto che le disgrazie hanno sulle persone. Infatti, da fotografo, ritengo che sia possibile capire la vita di un uomo semplicemente guardandolo negli occhi. Durante questo viaggio non mi è mai capitato di fotografare persone i cui volti non mi raccontassero una storia, non mi svelassero un mistero, e penso che questo fatto sia importantissimo per far comprendere ai futuri osservatori delle mie fotografie ciò che accade qui, tra gli edifici colpiti dalle bombe e le piccole case polverose e cadenti della gente. Comunque, oggi, verso le cinque del pomeriggio, io e la mia guida indiana, Amal, siamo arrivati a Gujarat, un territorio fortemente sismico a nord - ovest dell'India. Amal è nato qui, tra queste strade, dunque ha insistito per mostrarmi la sua casa e la scuola che egli, avendo una famiglia piuttosto ricca, è riuscito a frequentare. Amal mi ha spiegato dettagliatamente il complesso sistema scolastico indiano e mi ha portato in una scuola per fare fotografie e per parlare con alunni e professori. Qua i bambini imparano matematica, inglese e informatica e gli studenti sono molto diligenti perché se hanno dei debiti devono aspettare un anno intero per fare l'esame! Comunque, tutti si sono mostrati molto gentili ed educati; mi hanno chiesto alcune notizie sul posto da cui provengo e hanno voluto che mostrassi loro la mia macchina fotografica. Per qualche secondo mi sono sentito un professore che parlava assieme ai suoi alunni ed ho dimenticato ogni differenza tra me e loro. Ho dunque fatto un breve giro per le classi ed ho fatto un po' di foto. Una di quelle che ho scattato lì mi piace particolarmente: essa raffigura delle ragazze vestite di bianco che tessono in una stanza in penombra illuminata in alcuni punti da gradi finestre. L'atmosfera che mi ha colpito appena ho messo piede in quella stanza era come quella che si percepisce in una chiesa: mi sentivo chiuso, al sicuro, al caldo, e la luce che entrava dolcemente dalle finestre mi faceva sentire come se fossi in un luogo lontano dal tempo e dallo spazio. Ho subito approfittato dell'emozione che quel silenzio sacro creava in me ed ho scattato una fotografia, al cui centro c'è una ragazza illuminata dalla luce e circondata dalle ombre create dalle sue compagne immerse nel buio. Se dovessi dare un titolo a questa fotografia la intitolerei "Purezza", o qualcosa di simile, perché la luce che cadeva sul pavimento, il silenzio della stanza, i vestiti bianchi delle ragazze, ogni particolare immerso in un quell'atmosfera di chiusa meditazione mi lasciavano nel cuore un sentimento tiepido che mi scaldava il petto e che calmava ogni mio affanno.Qualche secondo fa Amal, alla guida del SUV nero che sta sfrecciando veloce per le strade notturne dell'India verso una nuova meta, mi ha chiesto cosa stessi scrivendo. Gli ho detto che sto scrivendo una specie di "diario di bordo", ed egli mi ha domandato se lo farò leggere a qualcuno, una volta tornato a casa. Sono rimasto in silenzio per qualche secondo, poi gli ho risposto che non lo sapevo, che non ero nemmeno sicuro se davvero volevo tornare a casa. Amal ha sorriso. Credo che egli abbia capito, dopo pochi giorni trascorsi insieme, che l'India mi sta lentamente rapendo con i suoi colori, con le sue luci, con i suoi odori speziati e le sue strade chiassose. Mi chiedevo spesso cosa fosse la bellezza; ora lo so: è purezza.
BLU
Caro Diario, oggi ho continuato il mio viaggio attraverso l'India, e sette lunghe ore di macchina in compagnia di un cd con la musica dei Beatles che mi sono portato da casa e una coca-cola (le vendono anche qui! Non me l'aspettavo!), mi hanno condotto lungo il Gange fino a una città luminosa e colorata: Haridwar. Questa città, attraversata dal grande fiume sacro dell'India, è uno spettacolo sia di giorno, con i suoi mercati e monumenti, sia di notte, quando le luci delle case e degli enormi palazzi feriscono il buio. Secondo il mio progetto di viaggio sarei dovuto arrivare ad Haridwar alle tre del pomeriggio, per poi incontrare la guida che mi avrebbe mostrato la città un'ora dopo, ma il poco traffico nelle strade ha permesso che arrivassi prima, dunque, non riuscendomi facile aspettare da solo per quasi due ore, dopo aver lasciato i miei bagagli in hotel, ho girovagato senza meta tra le strade di Haridwar. Durante il mio percorso ho incontrato vari tipi di persone - vecchi che si sostenevano su bastoni nodosi, donne che camminavano piano con ampi vestiti coloratissimi, bambini che si rincorrevano per strada - ed ho fatto delle fotografie a tutti i soggetti che mi lasciavano una particolare emozione o creavano in me curiosità. Adesso che, disteso sullo scomodo letto dell'hotel dopo aver passato una giornata stancante vagando per musei, sto riguardando le fotografie di questo pomeriggio, la mia attenzione è stata colpita da una delle fotografie che ho scattato proprio in quei minuti di vagabondaggio. Mi ricordo di avere camminato davanti ad alcune case povere, proprio dietro ad edifici grandi e moderni, e di aver notato, di fronte a un telo grigio, una bambina con la pelle pitturata di blu che giocava assieme alla madre. Mi sono fermato immediatamente, colpito dalla pelle della bambina e dai disegni che le ornavano il corpo. Ricordo di aver pensato a quella bambina come ad una divinità induista, potente e immortale, esattamente come le statue raffiguranti Shiva, il dio terribile, Vishnu , il dio conservatore, o Brahma, il primo dio. Naturalmente la madre della bambina deve aver pensato male di me a causa della mia faccia leggermente sconvolta, ma, usando alcune parole della lingua indù che sono riuscito ad imparare durante questo lungo viaggio, sono riuscito a convincerla a lasciarmi scattare una foto. Riguardando ora quella fotografia, non posso fare a meno che riportare alla mente gli stessi pensieri avuti nel primo istante in cui vidi la bambina: il suo comportamento, la rigidità del suo corpo, i gelidi occhi gialli, la pelle blu e la mano alzata, infatti, mi fanno venire i brividi e mi attraggono con una forza mistica e parecchio inquietante. Chissà cosa dirò al mio editore, quando tornerò dal viaggio! Probabilmente esclamerò qualcosa come: "Ehi, Tom, non ci crederai mai a quello che ti sto per dire, ma ho incontrato Shiva!". "Shiva? Ma che stai dicendo?" replicherà lui, e allora gli spiegherò di tutto quello che mi è accaduto, del viaggio, del Gange che scorre tranquillo nel suo letto, di Haridwar, della bambina colorata di blu. Probabilmente non smetterò più di parlare.
di Martina e Marianna