Immagini d'autunno
Avevo ripescato dalle scatole sul fondo dell’armadio un paio di scarpe in pelle marrone che i miei genitori mi avevano comprato giusto pochi giorni prima, una calda domenica di fine estate … tanto è vero che, al provarle, mi parvero decisamente troppo pesanti in confronto alle calzature in tela che portavo ai piedi quel pomeriggio in cui trentacinque caldi gradi facevano la fortuna di gelatai e bar. Eppure mai avrei immaginato che mi sarebbero state tanto utili a solo breve tempo di distanza da quel giorno. Mia nonna già mi aspettava accanto all’uscio con mia sorella Sara che saltava qua e là rivestita, o meglio, nascosta in quel cappotto bello caldo quasi per sfidare un’arietta fredda e rigida che soffiava lieve contro le loro facce. La nonna, intenta a guardarmi mentre mi affrettavo ad allargare il pellame duro e nuovo affinché mi potesse calzare un po’ più comodamente non si era resa conto che sarebbe stato meglio per la sua gola e per il suo fisico non certo più da ventenne nel pieno delle forze rifiutare l’invito di Sara a uscire per un giretto respingendola ai compiti di matematica e alle sue addizioni e sottrazioni da prima elementare. Non sapevo che, in realtà, si era resa conto benissimo che il fresco di una temperatura bruscamente mutata non sarebbe stata un’alleata fedele alle sue ossa, ma aveva accettato ugualmente di percorrere con i nipoti, che vedeva due pomeriggi alla settimana mentre i genitori erano presi dai loro impegni di lavoro, il vialone alberato che collega il centro del paese ai giardini comunali. Nel percorrere quella strada, stando attento a non inciampare trai rametti caduti lungo i marciapiedi, risuonava vistosamente il frusciare delle foglie allo sfregamento della gomma che ricopriva le suole delle scarpe nuove, facendo concorrenza allo scricchiolio che mia sorella causava saltellando tagliando di continuo la strada alla nonna. Perché Sara è, anche adesso, l’esatto contrario di me: io calmo, impacciato, quasi totalmente inanimato come una di quelle foglie cadute a terra e calpestate da tutti, lei egocentrica, agitata, sempre in movimento come il vento che quelle foglie le fa volare senza sosta e le sposta con irregolare frequenza. La nonna era il terreno ricoperto … non perché non potesse e non fosse in grado di tenerci con corretto e necessario polso, ma perché per lei eravamo quel nutrimento, quella coperta calda che la proteggevano dal freddo delle ansie, della depressione e della stanchezza gravante come gli anni che si portava sulle spalle. Giunti ad una panchina riparata dal vento ci sedemmo scostando quelle secche macchie che iniziavano a prendere un colore più caldo, un rosso e un arancione accesi che dipingevano uno spento verde aggravato da scritte e segni di pennarello dalle varie sfumature sia di stile che di contenuto. Sara mi salì sulle ginocchia mentre la nonna, nel sedersi e nel prendere in mano quelle foglie che sostavano sulla sua parte di panchina, respirava a pieni polmoni prima di lasciarsi andare ad un tossito vigoroso. Mi allontanai un poco lasciando mia sorella accanto alla nonna e non feci neanche in tempo a fare pochi passi che già, voltando la testa, vedevo le vedevo concentrate sui conti: la nonna con le foglie tra le mani come esempi materiali per quelle addizioni e sottrazioni da una parte, Sara dall’altra con le gambe incrociate a pochi centimetri da lei intenta a sforzarsi di capire. Quello fu l’inizio dell’autunno: scoperta e innovazione per mia sorella bambina spensierata per la prima volta sui banchi, freddo e solitario per me... proprio come me, con tanta voglia di caldo ed estate.
di Willy
di Willy