FEMMINICIDIO: LA STORIA DEL TERMINE
Nel 1801 in un libro satirico dello scrittore e giornalista John Corry, compare per la prima volta il termine femicide per indicare il generico omicidio di una donna e nel 1848 compare con lo stesso significato nella Law Lexicon del giurista.
Il termine viene ripreso negli anni 70 dal movimento femminista e nel 1992 viene utilizzato dalla criminologa Diana Russell nel libro Femicide: The Politics of woman killing, in cui assume il significato di uccisione delle donna da parte di un uomo poiché donna.
Il femminicidio si configura quindi come la violenza estrema nei confronti di una donna da parte di un uomo per motivi basati sul genere.
L’anno successivo, nel 1993, la parola viene utilizzata dall’antropologa messicana Marcela Legarde e da questo momento il suo utilizzo si diffonde.
In Italia il termine inizia a circolare nella stampa e poi entra nel circolo della nostra lingua nel 2008 e negli anni immediatamente successivi compare nei dizionari.
Elena Acquaviva, Penelope Falsitta, Sara Gussoni, Veronica Martarelli, Valentina Soldo
Il termine viene ripreso negli anni 70 dal movimento femminista e nel 1992 viene utilizzato dalla criminologa Diana Russell nel libro Femicide: The Politics of woman killing, in cui assume il significato di uccisione delle donna da parte di un uomo poiché donna.
Il femminicidio si configura quindi come la violenza estrema nei confronti di una donna da parte di un uomo per motivi basati sul genere.
L’anno successivo, nel 1993, la parola viene utilizzata dall’antropologa messicana Marcela Legarde e da questo momento il suo utilizzo si diffonde.
In Italia il termine inizia a circolare nella stampa e poi entra nel circolo della nostra lingua nel 2008 e negli anni immediatamente successivi compare nei dizionari.
Elena Acquaviva, Penelope Falsitta, Sara Gussoni, Veronica Martarelli, Valentina Soldo
IL FEMMINICIDIO NEL MONDO
La parola femminicidio si riferisce ai gesti estremi di violenza che sottendono una realtà complessa di oppressione, di disuguaglianze, di abusi, di violenza e di violazione sistematica dei diritti delle donne. Tale genere di maltrattamento è parecchio diffuso tutt’oggi in varie parti del mondo.
Ad esempio in Afghanistan e in Pakistan le violenze nei confronti delle donne sono di natura psicologica, fisica ed economica e la diffusa impunità non fa altro che incrementarle. Questo si verifica a causa dell’impostazione fortemente maschilista di tali paesi.
Tuttavia, sono il Messico e l’America latina i detentori del più alto tasso di femminicidi nel mondo, a causa della combinazione di povertà e disuguaglianza, di uno spaccio di droga, di una consistente presenza di gang e di una diffusa cultura machista.
Inoltre, l’Africa Subsahariana è l’unica regione al mondo in cui la percentuale di donne ammalate di HIV (60 %), una delle principali cause di morte in questo paese, è molto più alta di quella degli uomini.
Ritornando in Asia, è opportuno dare una definizione delle cosiddette “donne globali”: sono tate, badanti e colf, emigrate dal loro paese d’origine in cerca di un lavoro migliore. Esse però si ritrovano spesso vittime di abusi sessuali e molestie, vengono costrette a lavorare in condizioni di lavoro disumane, e molte volte vengono uccise dai loro datori di lavoro. Il Nepal è uno dei paesi più allarmanti da questo punto di vista.
In Bangladesh invece sono migliaia le prostitute minorenni. Oltre ad essere costrette ad avere dai 4 a 15 rapporti sessuali al giorno, devono assumere un farmaco, l’Oradexon, utilizzato in veterinaria per far ingrassare le mucche da macellare ( da qui il nome in gergo “cow pills”) che provoca all’uomo gravissimi danni fisici: dipendenza e malattie come il diabete, pressione alta, sfoghi cutanei, mal di testa e invecchiamento precoce.
Inoltre in seguito a un’indagine condotta nel 2008, si è scoperto che circa un terzo delle donne giapponesi ha subito aggressioni fisiche, minacce psicologiche o coercizione sessuale da parte del proprio partner. La metà di queste non ne ha mai parlato prima di essere intervistata. Infatti, prima del 2001, anno in cui la violenza domestica divenne un reato penale, essa era considerata un tabù, una questione da risolvere all’interno del nucleo familiare: questo non fa altro che incrementare gli episodi di violenza.
Anche in altri paesi dell'Asia del sud, le donne sono vittime di minacce e abusi, sono spinte al suicidio o uccise dai loro mariti e dalle loro famiglie che sperano di ottenere una dote maggiore.
Nei territori palestinesi, invece, le regole matrimoniali sono regolate dalla legge islamica, ma sono anche fortemente influenzate dalle tradizioni tribali che erodono i diritti sanciti dall'Islam, come quello a un divorzio dignitoso.
In Italia sicuramente la situazione non è così grave come in altri stati, ma, dal punto di vista delle leggi emanate e delle pene conseguenti a un episodio di femminicidio, c’è ancora molto da fare, sebbene siano stati promulgati dei decreti contro questo genere di violenza. Ad esempio è diventata aggravante la relazione affettiva con la donna rimasta vittima e obbligatorio l’arresto in flagranza. Inoltre sono stati spesi dieci milioni di euro per un piano antiviolenza, che ha lo scopo di informare riguardo alla violenza sulle donne.
Informazioni tratte dai siti www.treccani.it , www.dizionaripiu.zanichelli.it , www.wikipedia.org , www.rai.it e dal libro “Ferite a morte” di Serena Dandini, di cui si consiglia la lettura.
Elena Acquaviva, Penelope Falsitta, Sara Gussoni, Veronica Martarelli, Valentina Soldo
Ad esempio in Afghanistan e in Pakistan le violenze nei confronti delle donne sono di natura psicologica, fisica ed economica e la diffusa impunità non fa altro che incrementarle. Questo si verifica a causa dell’impostazione fortemente maschilista di tali paesi.
Tuttavia, sono il Messico e l’America latina i detentori del più alto tasso di femminicidi nel mondo, a causa della combinazione di povertà e disuguaglianza, di uno spaccio di droga, di una consistente presenza di gang e di una diffusa cultura machista.
Inoltre, l’Africa Subsahariana è l’unica regione al mondo in cui la percentuale di donne ammalate di HIV (60 %), una delle principali cause di morte in questo paese, è molto più alta di quella degli uomini.
Ritornando in Asia, è opportuno dare una definizione delle cosiddette “donne globali”: sono tate, badanti e colf, emigrate dal loro paese d’origine in cerca di un lavoro migliore. Esse però si ritrovano spesso vittime di abusi sessuali e molestie, vengono costrette a lavorare in condizioni di lavoro disumane, e molte volte vengono uccise dai loro datori di lavoro. Il Nepal è uno dei paesi più allarmanti da questo punto di vista.
In Bangladesh invece sono migliaia le prostitute minorenni. Oltre ad essere costrette ad avere dai 4 a 15 rapporti sessuali al giorno, devono assumere un farmaco, l’Oradexon, utilizzato in veterinaria per far ingrassare le mucche da macellare ( da qui il nome in gergo “cow pills”) che provoca all’uomo gravissimi danni fisici: dipendenza e malattie come il diabete, pressione alta, sfoghi cutanei, mal di testa e invecchiamento precoce.
Inoltre in seguito a un’indagine condotta nel 2008, si è scoperto che circa un terzo delle donne giapponesi ha subito aggressioni fisiche, minacce psicologiche o coercizione sessuale da parte del proprio partner. La metà di queste non ne ha mai parlato prima di essere intervistata. Infatti, prima del 2001, anno in cui la violenza domestica divenne un reato penale, essa era considerata un tabù, una questione da risolvere all’interno del nucleo familiare: questo non fa altro che incrementare gli episodi di violenza.
Anche in altri paesi dell'Asia del sud, le donne sono vittime di minacce e abusi, sono spinte al suicidio o uccise dai loro mariti e dalle loro famiglie che sperano di ottenere una dote maggiore.
Nei territori palestinesi, invece, le regole matrimoniali sono regolate dalla legge islamica, ma sono anche fortemente influenzate dalle tradizioni tribali che erodono i diritti sanciti dall'Islam, come quello a un divorzio dignitoso.
In Italia sicuramente la situazione non è così grave come in altri stati, ma, dal punto di vista delle leggi emanate e delle pene conseguenti a un episodio di femminicidio, c’è ancora molto da fare, sebbene siano stati promulgati dei decreti contro questo genere di violenza. Ad esempio è diventata aggravante la relazione affettiva con la donna rimasta vittima e obbligatorio l’arresto in flagranza. Inoltre sono stati spesi dieci milioni di euro per un piano antiviolenza, che ha lo scopo di informare riguardo alla violenza sulle donne.
Informazioni tratte dai siti www.treccani.it , www.dizionaripiu.zanichelli.it , www.wikipedia.org , www.rai.it e dal libro “Ferite a morte” di Serena Dandini, di cui si consiglia la lettura.
Elena Acquaviva, Penelope Falsitta, Sara Gussoni, Veronica Martarelli, Valentina Soldo